#‎saturnino‬ : ‪#‎ENEL‬ = ‪#‎Jovanotti‬ : ‪#‎ENi‬

 

Saturnino: racconta dei #Guerrieri di La Spezia

giovanni soldiniLanciata da giovanni soldini Italy

 

Saturnino, caro amico mio, dal 22 novembre condurrai su La7, ogni venerdì sera, Guerrieri.

Un programma nato dalla campagna Enel #Guerrieri.

Racconterai degli italiani che non si arrendono, andando in giro per il Paese in cerca di persone che nonostante tutto ce la fanno. Hai dichiarato: “Io non voglio essere un conduttore, voglio essere un ascoltatore di storie”.

E allora ti chiedo amico mio, perché non ascolti anche le storie di chi lotta contro la centrale a carbone di Enel a La Spezia?

Enel a La Spezia per ragioni prettamente economiche continua ad utilizzare il carbone e l’impianto non è dotato di tecnologie all’avanguardia per il contenimento delle emissioni. Il referendum del 1990 che aveva sancito la chiusura della centrale non è stato rispettato e la centrale ha continuato a bruciare carbone.

Secondo Greenpeace la produzione termoelettrica a carbone di Enel è causa, in Italia, di una morte prematura al giorno e di danni al Paese stimabili in circa 2 miliardi di euro l’anno. Enel è il maggior emettitore in Italia di CO2: 36,8 milioni di tonnellate emesse nel 2011, una quantità di anidride carbonica pari alla somma delle emissioni attribuite al comparto dell’acciaio e del cemento, circa il 55% in più di quanto attribuito ai grandi gruppi di raffinazione*.

Ecco alcune delle testimonianze dei #Guerrieri del carbone a Spezia:

“Ho lavorato nell’indotto della centrale negli anni ’88-’89 durante i lavori di rimodernamento. Quando ero alle nuove plintature dei sostegni del nastro carbone, per due mesi abbiamo perennemente avuto inchiostro nero che usciva dalle narici. Quando pulimmo i due immensi tunnel sommersi che portano l’acqua di raffreddamento da e verso il mare, ho visto venir fuori di tonnellate di fanghi tossici. Credevo di morire, la puzza era nauseabonda. Ho visto gente morire di asbestosi dopo due mesi di pensione.”  (Ex operaio Enel)

“Il mio quartiere è separato da quello delle mie amiche dal nastro che trasporta il carbone. Il nastro va dal pontile di scarico dove approdano le navi carboniere fino alla centrale. Ogni qual volta una nave scarica come oggi, le nostre finestre sono nere di polvere che proviene sia dalle benne che la disperdono, sia dal nastro che non è a tenuta stagna. La stessa polvere la troviamo sulle barche ormeggiate nelle vicinanze e naturalmente la troviamo anche sulla frutta e sulla verdura che ormai da anni non mangiamo più. Quando le navi arrivano si avverte nell’aria un forte odore di gas che ci hanno detto provenire dalle stive, emesso dal carbone sottoposto ad alte temperature durante il viaggio…” (Rita Casagrande di SpeziaViaDalCarbone, rappresentante dei quartieri di Pagliari e Fossamastra)

“Immagina che La Spezia ti abbia dato i natali: hai sempre vissuto qui, sei andato a scuola qui, hai giocato qui, in questo meraviglioso Golfo la cui bellezza ti fa dimenticare che c’è una centrale che brucia carbone a 1 km da casa tua. Poi cresci, voti e pensi che quelli che ti rappresentano siano più attenti di te, che prendano le scelte giuste, che tutelino il tuo ambiente e la tua salute. Poi un giorno ti chiamano: tuo padre sta male. Il Dottore ti fa il foglio di ricovero urgente. Diagnosi: leucemia mieloide acuta. Ti dicono che non c’è speranza. Poi una sera esce il Professore e ti vuole parlare: nessuno ti prepara a questo. Ascolti come fosse la lezione più importante della tua vita. E lo è. La tua domanda è solo: perché? “Ad un certo punto il midollo smette di funzionare, non sappiamo le cause: certamente influiscono fattori cancerogeni presenti nell’ambiente.” (A.B. di SpeziaViaDalCarbone)

Secondo gli esami epidemiologici effettuati dai consulenti della Procura, le emissioni della vicina centrale a carbone della Tirreno Power di Vado Ligure avrebbero provocato un aumento della mortalità per cancro nel savonese. Anche a La Spezia abbiamo una centrale a carbone in una zona altamente popolata: riconvertire l’impianto al metano è una richiesta ragionevole tanto più che lo stesso impianto è già dotato di 2 gruppi a metano inutilizzati che sono in grado di generare la stessa potenza elettrica riducendo enormemente le emissioni di CO2, NOx, SOx e polveri sottili.

E allora amico mio, credo sarebbe molto bello se anche i #guerrieri che lottano contro le polveri sottili e i veleni del carbone avessero modo di raccontare le loro storie nel tuo programma.

Un abbraccio,

Giovanni Soldini

*http://www.greenpeace.org/italy/it/campagne/Salviamo-il-clima/Enel–carbone-un-legame-pericoloso/#tab=0

http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2012/clima/Enel-Il-carbone-costa-un-morto-al-giorno.pdf

https://www.change.org/it/petizioni/ministro-dell-ambiente-imponga-ad-enel-l-utilizzo-del-metano-al-posto-del-carbone-a-la-spezia

https://www.change.org/it/petizioni/saturnino-racconta-dei-guerrieri-di-la-spezia

Per chi ha buona memoria…..

13 GIUGNO 2013

LETTERA A JOVANOTTI n.1

Caro Lorenzo Cherubinise mai leggerai questa lettera ti chiediamo, ma che bisogno c’era? 
Era proprio necessario un contratto di collaborazione con una delle più grosse multinazionali del petrolio come l’ ENI?
Fine della lettera.
Non aggiungiamo nient’altro, nessun commento in piu’.
Non rubiamo ulteriore spazio a questa serie importante di articoli, interviste e dossier che, per omaggiare  l’artista Jovanotti, inizieranno proprio parlando di Africa.

Lettera n.1              -Eni in Africa, un bilancio negativo.-

Riportiamo una dura e scioccante intervista ( pubblicata dapopoli.info ) ad Elena Gerebizza, ricercatrice della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, che da anni analizza le strategie del Cane a sei zampe e ne verifica sul terreno le conseguenze. E il suo giudizio sull’operato della società petrolifera di San Donato in Africa è negativo.

Quali conseguenze ambientali derivano dall’attività di estrazione dell’Eni in Africa?
L’impatto ambientale dell’estrazione è fortissimo. In Paesi come la Nigeria, nel quale l’azienda opera dagli anni Settanta, si è arrivati a un degrado assoluto. Le comunità che in passato vivevano in situazioni di sussistenza, ma in un ambiente sano, oggi non possono più coltivare la terra né bere l’acqua delle sorgenti perché terreno, acqua e atmosfera sono inquinati. Nei giacimenti su terraferma, l’imbatto ambientale è evidente e va al di là di ciò che possono essere i danni che normalmente produce un’attività come quella dell’estrazione di idrocarburi. Secondo le valutazioni di Environmental rights action, un’organizzazione locale nigeriana, gli impianti dell’Eni non solo sono quelli che hanno maggiori perdite, ma sono quelli in cui le perdite vengono riparate con maggiore ritardo. Quando c’è uno sversamento, i tecnici intervengono dopo giorni, se non settimane, riparano la falla, ma non bonificano la zona.
In che modo l’attività estrattiva porta a un inquinamento atmosferico? Attraverso il fenomeno del cosiddetto gas flaring cioè l’emissione di gas che fuoriescono con l’estrazione del petrolio. In America, Asia ed Europa questi gas vengono recuperati e utilizzati per produrre energia elettrica. In Africa invece vengono bruciati nell’atmosfera rilasciando sostanze fortemente inquinanti. In Nigeria esiste una legislazione che proibisce l’emissione di gas flaring eppure l’Eni e altre compagnie continuano a bruciarlo nell’atmosfera.

In passato l’Eni aveva annunciato di voler creare impianti per il riutilizzo del gas flaring. Sono stati realizzati?

La realtà che abbiamo trovato visitando la zona è che l’impianto principale dell’Eni continua a bruciare gas in torcia (sono almeno cinque le torce attive). La centrale che dovrebbe produrre energia elettrica grazie al gas dell’estrazione è entrata in funzione, ma non siamo certi con quale gas funzioni. Il gas che deriva dall’estrazione esce in maniera discontinua così questa centrale, per evitare tempi morti, utilizza anche altro gas. Non sappiamo quindi se la centrale utilizza il gas dell’estrazione o altro gas. Durante la costruzione dell’impianto e attraverso successivi accordi con le comunità, l’azienda si era poi impegnata a fornire energia alla popolazione che vive sul territorio. Ma ciò non è ancora avvenuto.

Alcune Ong nigeriane hanno denunciato la presenza di contractors in difesa degli impianti. Conferma questa presenza?

Tutte le società petrolifere utilizzano contractors, immagino lo faccia anche l’Eni. Anche se non ho le prove di questo. La cosa più grave però è che nel Delta del Niger c’è una forte presenza armata di militari nigeriani che proteggono gli impianti petroliferi. In molti casi questi militari si ritrovano contro le comunità locali o, comunque, non difendono i diritti delle popolazioni locali, ma quelli delle aziende.

L’Eni ha annunciato l’avvio di un progetto di sfruttamento delle sabbie bituminose in Congo Brazza che potrebbe avere un forte impatto sull’ambiente. A che punto è il progetto? E quale conseguenze ha prodotto?
In Congo Brazzaville l’Eni è presente dagli anni Settanta con estrazioni offshore e solo nel 2008 ha iniziato a operare con estrazioni sulla terraferma. Negli anni scorsi è stato annunciato l’avvio del progetto per lo sfruttamento delle sabbie bituminose. Siamo ancora in una fase «pilota», ma i problemi sul posto sono già evidenti, soprattutto in merito all’inquinamento delle acque.

Quali ricadute economiche hanno sulle popolazioni locali le attività di 

estrazione?

Non c’è ricaduta positiva sulle comunità locali. In tutti i Paesi che sono governati in modo autoritario, le comunità che vivono nei luoghi in cui si estrae petrolio non solo non godono delle royalties. Le aziende petrolifere spesso si impegnano nei contratti a realizzare piccoli investimenti (ambulatori, scuole, pozzi, ecc.), ma queste opere non compensano in alcun modo i danni causati alle comunità. Nei casi peggiori, come quello della Nigeria, le opere non vengono neppure costruite perché i soldi si perdono nei vari passaggi di mano. e.c.

( intervista pubblicata su www.popoli.info )

leggi anche Africa, la scommessa dell’Eni e i dubbi delle Ong

 

http://noalcarbonebrindisi.blogspot.it/2013/06/lettera-jovanotti-n1.html?m=1