Il caso ILVA di Taranto, come morire a norma di legge!

 

Dopo aver letto tanti articoli sulla notizia del sequestro dell’ILVA di Taranto, riportiamo un report di un blog a cura di Daniela Patrucco, davvero utile per capire i contorni di una vicenda davvero inquietante e che noi, seguiamo da sempre con preoccupazione.La vicenda del carbone gli somiglia paurosamente, anche se a norma di legge, si muore eccome!

SpeziaPolis

La polis fu un modello di struttura tipicamente e solamente greca che prevedeva l’attiva partecipazione degli abitanti liberi alla vita politica. In contrapposizione alle altre città-stato antiche, la peculiarità della polis non era tanto la forma di governo democratica od oligarchica, ma l’isonomia: il fatto che tutti i cittadini liberi soggiacessero alle stesse norme di diritto.

 

Ilva: un’operazione coloniale e un grande conflitto di interessi – Intervista a Marescotti (Peacelink)

Ammonta a otto miliardi e 200 milioni di euro il maxi sequestro ordinato dal GIP di Taranto Patrizia Todisco.  Si tratta di un sequestro preventivo per valore equivalente, in base alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità giuridica delle imprese  che dal 2011 contempla anche i reati ambientali.
 “Stiamo eseguendo un sequestro solo in merito ai beni della società Riva Fire. Abbiamo tenuto conto della legge 231 (legge salva Ilva, ndr), e dunque il sequestro non colpisce i beni dell’Ilva. E questo provvedimento non intacca la produzione dello stabilimento. La ratio del sequestro è quella di bloccare le somme sottratte agli investimenti per abbattere l’impatto ambientale della fabbrica”, ha precisato il procuratore di Taranto Sebastio. Il provvedimento di sequestro segue di pochi giorni quello della Procura di Milano, per un miliardo e 200 milioni che sarebbero stati sottratti indebitamente alle casse dell’azienda.
La maxievasione, secondo la Procura, sarebbe stata messa in atto sfruttando il meccanismo dello scudo fiscale.  Le accuse nei confronti della famiglia Riva sono di frode fiscale, riciclaggio, intestazione fittizia e truffa ai danni dello Stato.
La procura di Taranto avrebbe quantificato l’ammontare degli investimenti non realizzati per l’abbattimento dell’impatto ambientale dell’Ilva e disposto il sequestro per prevenirne l’eventuale sottrazione, eventualmente come accaduto per il miliardo milanese.  Il sequestro alla Riva Fire è unescamotage che in qualche modo aggira la l. 231 e – incamerando il valore degli indebiti profitti realizzati grazie al mancato rispetto delle prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale – compensa in qualche misura la non applicazione del principio di precauzione e di “chi inquina paga”. In questi giorni il Governo sta valutando l’eventuale commissariamento di Ilva, con la separazione della proprietà dalla gestione
Alessandro Marescotti è insegnante di lettere in un liceo tarantino epresidente di PeacelinkNel 2008 l’associazione, insieme al Fondo Antidiossina di Taranto, ha “aperto il caso Ilva” grazie alle analisi del pecorino prodotto nei pascoli prossimi all’ILVA, rilevando l’evidenza di concentrazioni di diossina e PCB tre volte superiori ai limiti di legge.
Prof. Marescotti, l’ex Ministro Clini ha dichiarato che “si potrebbe configurare di nuovo un conflitto tra il ruolo dell’amministrazione, che ha l’obbligo di assicurare il risanamento ambientale, e il ruolo della magistratura che ha il compito di perseguire i reati”.
E’ il seguito di una sorta di partita a scacchi che vede contrapposti il governo– che ha voluto salvare la proprietà dei Riva – e la magistratura  – che cerca di garantire l’interesse pubblico.
Così come la cd legge salva-Ilva è stata formulata dal legislatore costruendo un ragionamento ad hoc per l’Ilva, anche il provvedimento della Procura di Taranto segue un ragionamento confezionato su misura per la Holding dell’Ilva. A differenza della salva-Ilva – che impatterà tutti gli impianti produttivi italiani considerati strategici che abbiano più di 200 dipendenti – questo provvedimento sarà applicabile solo a quelle organizzazioni che afferiscono a una holding. Il provvedimento,  che non viola la l. 231/01,  applica il principio per cui in caso di un illecito profitto, l’equivalente valore si possa congelare in funzione di un’eventuale successiva confisca. In questo caso finalizzata al risanamento ambientale.
Il Ministro dello Sviluppo economico Zanonato ha definito la produzione dell’acciaio dell’Ilva a Taranto una “questione strategica”. Un conflitto di interessi apparentemente insanabile pertanto tra il benessere e la qualità della vita dei cittadini di Taranto e l’acciaio dei Riva. Dei due, il secondo sembra essere strategicamente più rilevante.
I governi che si sono succeduti – e in questa fase il Presidente Napolitano in prima persona – hanno messo in primo piano la questione dell’interesse economico,che coincide in questo caso con l’interesse di un privato, mentre la magistratura ha messo al centro la difesa dei beni pubblici indisponibili: la salute, l’integrità del territorio, il diritto ad avere un futuro. La magistratura pone al centro un problema di carattere etico. I bambini non possono essere assoggettati ad un esperimento e noi non siamo in grado di sapere se con la nuova AIA saranno fuori pericolo. Si avvera in questo conflitto qualcosa di volgarmente economicistico. Marx identificava lo Stato con il “comitato d’affari” della borghesia, lo Stato assoggettato agli interessi della borghesia. Bene, mai come in questo caso si è visto uno Stato che abbia come obiettivo una città e una popolazione che si ribella.
Goffredo Buccini sul Corriere della Sera ha scritto “C’è da augurarsi che la Todisco abbia preso un abbaglio immane. In caso contrario siamo in presenza di un’operazione coloniale (in senso tecnico: sfruttamento di un territorio da parte di un’entità economica esterna, nativi danneggiati, risorse portate altrove). Un’operazione non consumata, tuttavia, nel buio dell’Africa del diciannovesimo secolo, ma oggi, sotto i riflettori del villaggio globale. Tutti potevano vedere. Tutti si sono girati dall’altra parte”.
Ci troviamo di fronte a una situazione clamorosa, era del tutto evidente che ci fosse da una parte un “comitato d’affari”. Ma fare affari è lo scopo della classe imprenditrice e dunque non è questa un’accusa che possiamo muovere ai Riva. Il problema è che chi avrebbe dovuto interpretare il ruolo dello Stato ha mantenuto un atteggiamento remissivo e collaborativo.  Alla fine si scopre che questi affari, secondo quanto sostiene la magistratura di Taranto, sono stati condotti al di fuori della legalità. Affari che, secondo la magistratura, avrebbero prodotto profitti illeciti il cui controvalore viene sequestrato con questa misura preventiva, finalizzata in futuro alla confisca.
Noi esultiamo perché è stato messo sotto chiave il “capitale”, che potrebbe essere espropriato non in virtù di una scelta politica (perché lo vuole Lenin) ma perchéSebastio o Todisco individuano ipotesi di reato.  Mentre noi gioiamo perché per il futuro vediamo una sorta di risarcimento – una nemesi per cui si toglie ai ricchi per dare ai poveri – in contemporanea abbiamo una vastissima classe politica che in questa prospettiva di giustizia e di risarcimento del profitto illecito e di una redistribuzione in chiave egualitaria invece si strappa le vesti.  Anziché cogliere la grandissima opportunità che si sta profilando, questa ampia area politica sostiene che si tratta di una situazione drammatica e fa allarmismo paragonandola a una catastrofe. Un simile atteggiamento da parte di un partito di centrodestra è comprensibile. Se agito dalla sinistra – da SEL al PD – conferma che la classe politica agisce in modo funzionale a far prevalere l’interesse privato sull’interesse pubblico.
Il Ministro dello Sviluppo Economico Zanonato ha dichiarato che “Se l’Ilva si ferma, possiamo dire addio all’industria siderurgica e avremmo problemi con l’industria meccanica”. Ha aggiunto che “il polo dell’acciaio, e l’Ilva in particolare, deve rimanere italiano, dobbiamo fare di tutto come governo per farlo rimanere italiano. E’ una questione strategica per continuare a essere competitivi: dalla siderurgica dipende la meccanica, e per rimanere competitiva deve avere acciaio prodotto in luoghi abbastanza vicini”. E anche Ermete Realacci (ecodem PD) è sulla stessa lunghezza d’onda.
In un mondo globalizzato, in cui si acquista qualsiasi prodotto nella parte di mondo in cui è più conveniente farlo, questo tipo di ragionamento è anacronistico. Chi ha governato l’economia italiana ha sprecato il cuore del futuro informatico con l’Olivetti, Federico Faggin nel 1970 si è trasferito negli Stati Uniti per creare il primo microprocessore. Dopo che ci siamo fatti sfuggire le migliori menti e dopo che i migliori ricercatori fuggono all’estero per trovare la possibilità di fare ricerca, noi ci preoccupiamo dell’acciaio che è frutto della prima rivoluzione industriale. Quando invece la competitività si gioca su altre tipologie di prodotti, l’elettronica, le nanotecnologie, le energie alternative, quella che chiamiamo l’economia della conoscenza. Cosa e dove hanno studiato queste persone? Perché dobbiamo confrontarci con la loro visione dell’economia, antitetica a quella del futuro, sempre più smaterializzate e fondata sulla conoscenza?
Apparentemente la politica non prende neppure in considerazione l’ipotesi di rinunciare all’acciaio. Il presidente della commissione Bilancio, Francesco Boccia, ha spiegato che «bisogna salvare il futuro dell’industria siderurgica italiana. Non quello di una famiglia composta da condannati e arrestati». Paolo Ferrero (RC) suggerisce di nazionalizzare l’Ilva mentre Realacci e ora il Governo propongono il commissariamento. Come se ne esce?
La nazionalizzazione è una proposta sbagliatissima. L’essere pubblico non è un valore in sé. In particolare se consideriamo che la gestione passerebbe nelle mani di quegli stessi soggetti che sin qui hanno gestito la “cosa pubblica” con le conseguenze che vediamo.
Certo l’alternativa della gestione ai Riva non è tranquillizzante. Nel provvedimento di sequestro, come già in altri atti della procura di Taranto, si leggono passaggi inquietanti “In particolare, metalli e polveri nocive hanno causato decessi e malattie tra la popolazione tarantina” oppure “differimenti decisi dall’Ilva degli interventi previsti non fanno altro che incrementare il fenomeno di danno ambientale già in atto” e ancora “Non impediva con consapevolezza lo sversamento nell’aria ambiente di sostanze nocive per la salute umana, animale e vegetale“.  
Il Governatore della Liguria Claudio Burlando propone una formula “in cui lo Stato, con i finanziamenti del privato, si fa carico della realizzazione delle opere già state previste per l’ambientalizzazione e il miglioramento delle strutture. Al privato viene lasciato il compito gestionale, con una verifica costante dello Stato” Lo stesso Burlando, a proposito della riproposizione del modello genovese a suo tempo adottato per l’Ilva di Cornigliano ha ammesso  che “bisogna essere sinceri,qui è stato più semplice, perché siamo partiti dalla decisione di chiudere l’attività fusoria. A Taranto è differente».
La cosa importante è che le regole siano nell’interesse pubblico, che ci siano controlli stringenti, indipendentemente dalla proprietà. E’ importante l’assetto organizzativo, che dev’essere fortemente orientato al rigore del sistema dei controlli e alla selezione di adeguate tecnologie. Uno stabilimento come quello di Taranto può avere la sua ragione di esistere se sono acquistate unità produttive nuove e gli impianti come le cokerie vengono allontanati dalle case. In generale sono a favore della nazionalizzazione di alcuni settori strategici se guidati da un management che rappresenta l’interesse pubblico. Certo che se poi ci sono ancora persone nominate dalla politica.
E’ abbastanza evidente che ci sia la necessità di riconquistare  fiducia nelle istituzioni. Peacelink e il Fondo Antidiossina hanno chiesto di essere ascoltati Bruxelles. Quali questioni avete posto?
A Bruxelles  abbiamo portato la nostra posizione su Taranto e sull’Ilva. L’Unione Europea ha una notevole capacità di ascolto. Un cittadino o un’associazione ha moltè più possibilità di ascolto presso un’istituzione europea piuttosto che al Parlamento o al Governo italiani. Abbiamo constatato un’apertura per noi inaspettata, che tuttavia è prassi per gli organismi europei, com’è prassi rispondere sempre in modo dettagliato alle questioni che vengono poste. Se si presenta una petizione, supportata da dati e fatti oggettivi che abbiano attinenza con le normative europee, è prassi che il Parlamento si riunisca, risponda direttamente o passi la questione alla Commissione Europea. Rispetto alla chiusura del palazzi italiani, questa è un anomalia positiva  nell’Europafortemente criticata di questi tempi. Inviterei le associazioni in Italia a seguire il nostro esempio perché si ha l’occasione di  fornire alla Comunità Europea una serie di informazioni che i governi danno in maniera incompleta, quando non sono reticenti.  Mai nessun rappresentante istituzionale di Taranto aveva posto la questione a Bruxelles, né alcuna associazione. 
E’ anche un problema culturale dunque, siamo così socializzati al “non ascolto” in Italia che ci siamo convinti debba essere così ovunque. In qualche modo ci autocensuriamo?
E’ così. Abbiamo saputo che un cittadino di Taranto, di cui non conosciamo il nome, ha presentato una petizione al Parlamento Europeo sulla questione della diossina. Il Parlamento europeo si era riunito, aveva discusso ed elaborato una apposita risoluzione comunicata alla Commissione. Il cittadino non ha un nome e cognome ma ha fatto riunire il Parlamento Europeo.  E non era neppure raccomandato. Impensabile.
Il nuovo Ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, vi ha convocato a Roma perché riteneva importante acquisire il punto di vista delle associazioni nella sua ricognizione iniziale sulla questione dell’Ilva. Cosa gli avete detto e quali risposte avete avuto?
Il Ministro Orlando ha avuto con noi un atteggiamento completamente diverso da quello cui ci aveva abituati il ministro Clini, abbiamo apprezzato la sua capacità di ascolto e il rapporto è stato disteso e molto franco. Abbiamo evidenziato tutti le prescrizioni dell’AIA che non erano state rispettate nei tempi previsti. In alcuni casi sono stati dati per realizzati interventi mai attuati o parzialmente attuati, come accaduto per la  copertura dei nastri trasportatori del minerali di ferro e  carbone che arrivano nel porto. La realizzazione di questo intervento, che risultava concluso già nel rapporto ambiente-sicurezza del 2009, è ora spostata al 2015.
E’ evidente che se questo è il livello di trasparenza e la fine lavori è sempre il 2015, non ha senso alcun cronoprogramma e soprattutto vengono meno  le garanzie di “intervento immediato” che la stessa Corte Costituzionale ha considerato idonee a proteggere la salute pubblica. Tutta la legge 231 poggia sull’avverbio “immediatamente”. Se salta l’immediatezza degli interventi, se tutto è rinviato sine die, di fatto si stanno prorogando per altri tre anni quelle condizioni di pericolo per cui la Procura della Repubblica aveva rilevato gli estremi per intervenire con il primo sequestro degli impianti.
Considerando i 30 morti in più l’anno a causa dell’inquinamento stabiliti dalla perizia, avremmo 90 morti in più nei prossimi tre anni. Il che confliggerebbe con il principio ravvisato dalla Corte Costituzionale, quello della tutela della salute e insieme dell’occupazione. Ho chiesto al Ministro se lui o chi per lui sapesse allo stato attuale quante persone all’anno possono morire o si possono ammalare. Poiché si tratta di un dato che si può sapere solo se si fa una sorveglianza come quella fatta a suo tempo dalla Procura della Repubblica, occorre intervenire subito sugli impianti  oppure applicare il principio di precauzione. In condizione di incertezza scientifica bisogna astenersi dall’esporre le persone al rischio.
Al Ministro ho letto la lettera che abbiamo ricevuto da una mamma, Daniela, che ha raccontato la storia  della sua bambina. Nata apparentemente sana, ha sviluppato un tumore renale bilaterale a soli sei mesi e gli oncologi hanno subito diagnosticato la trasmissione da parte di uno dei due genitori.  Ho detto al Ministro che se i decisori e i giudici della stessa Corte Costituzionale sperimentassero storie così drammatiche, cambierebbero immediatamente posizione. E la questione strategica tornerebbe ad essere la salute dei cittadini e non più l’acciaio.
Nove miliardi e 300 milioni di euro parzialmente sotto sequestro vi tranquillizzano? 
Oggi la situazione è per noi più rosea di quanto non lo sia per il Governo. Fino a che non erano  sono stati emessi questi provvedimenti di sequestro avevamo il timore di condurre una battaglia giusta, ma con esiti che potevano essere inconcludenti e trovandoci alla fine con una fabbrica chiusa e un pugno di mosche. Molti ci rimproveravano di fare una lotta giusta ma, dicevano “Riva i capitali se li è portati all’estero e voi alla fine in nome di un principio giustizio non otterrete nulla”. La minaccia era che tutto si risolvesse com’è successo a Brescia, dov’è rimasto il deserto dove prima c’era la Caffaro. Nel caso di Taranto, se si dimostreranno le relazioni di causa e effetto, chi ha inquinato dovrà pagare.
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