A Civitavecchia si muore di più nel Lazio e tra i primi in Italia, ma a norma di legge!

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Civitavecchia, morire a norma di legge

di  e     –    Pubblicato il 8/07/2013

A Civitavecchia l’esposizione ai veleni del porto e delle centrali provoca un iper-mortalità per tumori a polmoni e pleura. E non esiste nessuna norma che tuteli la salute dei cittadini

È IL CROCEVIA per le vacanze di 2,6 milioni di turisti ogni anno. Il porto da cui passano più navi da crociera in tutto il Mediterraneo. Ma aCivitavecchia non c’è solo mare, turismo e storia. C’è anche qualcos’altro che, silenziosamente, cambia la vita dei suoi cittadini. Qualcosa che pesa sulla loro salute. Si tratta dell’inquinamento ambientale, che da anni provoca tumori al polmone, alla trachea, ai bronchi, alla pleura. C’è un dato che preoccupa più degli altri: Civitavecchia è il terzo comune in Italia per casi di tumori di questo tipo. Il primo nel Lazio.

I dati dell’Istituto Superiore di Sanità parlano di 2 milioni e 250 mila italiani (il 4% della popolazione) che vivono con diagnosi di tumore. Come se non bastasse, i casi registrati ogni anno sono in aumento: si passa dai 235 mila del 2000 ai 255 mila del 2010. Se andiamo a guardare il numero di decessi nel nostro Paese, scopriamo che quelli causati da tumori sono 220 ogni 100 mila abitanti.

La situazione è particolarmente preoccupante in alcune zone, come nel caso del territorio di Civitavecchia. Lo studio condotto dal dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, relativo al periodo 2006-2010, fa emergere dei dati allarmanti. “A Civitavecchia iltasso di mortalità causato da tumori al polmone e alla pleura è il 30% più alto rispetto al resto della regione Lazio”. A dirlo è il dottor Francesco Forastiere, che ha condotto la ricerca. “Insieme a questo vi è anche un aumento delle morti per malattie respiratorie croniche – continua Forastiere – queste due malattie hanno un origine non solo nel fumo di sigaretta, ma anche nell’esposizione nei posti di lavoro e nell’impatto ambientale”.
I fattori che hanno portato a questa condizione sono però molteplici. “C’è da considerare l’amianto presente sulle navi, le emissioni delle centrali, l’inquinamento del porto e tutta una serie di circostanze che hanno colpito il territorio negli ultimi venti/trent’anni”, precisa Forastiere. Allora, i dati che abbiamo oggi non riguardano solamente gli ultimi anni, ma l’esposizione a cui è andata incontro la popolazione di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella a partire dagli anni Ottanta.

Inevitabilmente, chi ci rimette sono i cittadini. In molti sono stati colpiti in prima persona dagli effetti nocivi del polo industriale e portuale di Civitavecchia. E in molti hanno deciso di iniziare una battaglia contro le centrali del territorio. Una su tutte, quella diTorrevaldaliga Nord, di proprietà dell’Enel. L’impianto, che sovrasta la zona con la sua ciminiera da 250 metri, è stata riconvertito a carbone nel 2009. Così, in tanti hanno iniziato a protestare attivamente e dal 2001 combattono contro l’approvazione del piano di riconversione della centrale. Ma durante questi anni alcuni di loro hanno visto morire amici e parenti. “Purtroppo, mentre facevo questa battaglia, io stessa sono stata colpita dagli effetti negativi delle ricadute della centrale. Infatti, lo scorso anno ho perso mio padre, dopo anni di lotta contro svariati tumori”. Sono le parole di Simona Ricotti, che in lacrime ci ha raccontato la sua storia, fatta di dolore e impotenza.

Tutto ha inizio nel 2000, l’anno in cui si sono formati i primi comitati contrari alla riconversione a carbone della centrale di Torrevaldaliga Nord. Nel corso degli anni la lotta va avanti. Marzia Marzoli, attivista del movimento No Coke che si batte per la chiusura di Torrevaldaliga Nord, racconta come si è evoluta la vicenda: “nel 2003, dopo un’opposizione iniziale, il comune di Civitavecchia ha espresso un parere positivo sulla riconversione della centrale”. In quel momento, viene rilasciata la certificazione di impatto ambientale e ha inizio la vera e propria riconversione. Così, comincia la battaglia politica di tutti i comuni limitrofi. I cittadini scendono in piazza e nei consigli comunali non si discute d’altro. Fino al 2007, “quando i sindaci della zona vengono invitati al tavolo della salute, in cui si stabiliscono degli accordi economici tra Enel e i comuni di Tarquinia, Allumiere, Tolfa e Santa Marinella che stipulano un contratto per compensazione economica con il più grande operatore elettrico d’Italia – racconta Marzia – da quell’anno i comitati sono rimasti soli, anche i sindaci avevano abbandonato la lotta.” Si arriva così ad oggi. Al rilascio dell’Aia, l’autorizzazione integrale ambientale, senza che nessuna richiesta dei cittadini sia stata accolta: “l’unico che poteva avere un peso su queste decisioni era il sindaco di Civitavecchia, che poteva pretendere di inserire delle prescrizioni”. Ma così non è stato.

I comuni, però, hanno bisogno del sostegno finanziario dell’Enel. Roberta Galletta, assessore alla tutela ambientale di Civitavecchia, spiega la difficile situazione in cui si trova il suo comune, chiarendo che l’obiettivo è quello di far chiudere la centrale, correndo però il rischio del tracollo economico. “La soluzione ideale sarebbe quella di farla chiudere prima del 2034 (nb: anno previsto per cessare l’attività produttiva) dando, però, un’alternativa di sviluppo alla nostra città – sostiene l’assessore – non possiamo pensare di chiudere la centrale e far saltare quasi 600 posti di lavoro”.

Nessuno sembra avere la soluzione in tasca. Non pare esserci una via d’uscita a questo stallo. E le parole di Marzia Marzoli riguardo la prevenzione lo confermano. “Dopo anni di lotta da comune cittadina, ho capito che l’unica prevenzione possibile, quella che funziona, è la prevenzione primaria”. Cosa intende Marzia per prevenzione primaria ce lo spiega in poche parole: “l’unico modo è incidere sulle scelte. Scelte che spesso non competono al ministero della Salute, ma a quelli delle Attività produttive e dell’Ambiente, che rilasciano un’autorizzazione integrale ambientale non severa, che non tiene conto della salute dei cittadini e non cerca di ridurre il carico inquinante di un grande impianto”. In sostanza, solo la prevenzione primaria può evitare che si inquini e ci si ammali. Non esistono soluzioni ex post, ma l’unica via è agire preventivamente.

Tuttavia, l’Italia è ancora lontana dagli standard di molti altri paesi in materia di prevenzione primaria. Uno su tutti, gli Stati Uniti. Emblematico è il caso del cosiddettocalcolo del danno preventivo. Di cosa si tratta lo chiarisce, ancora una volta, Marzia Marzoli: “In America le aziende sono costrette a presentare il bilancio dei danni ambientali che causeranno a cose e persone, prima di poter iniziare la propria attività produttiva. E sono le stesse aziende a doverli risarcire. In Italia, invece, questi costi non vengono calcolati ex ante dalle aziende, ma ricadono, in un secondo momento, sullo Stato. Chi paga, in pratica, sono i cittadini”.

Anche il punto di vista medico non è incoraggiante. Vittorio Donato, direttore del reparto di radioterapia dell’ospedale San Camillo di Roma spiega cosa possono fare i cittadini della zona di Civitavecchia, considerando che prima di creare un eccessivo allarmismo sarebbe necessario capire quale sia il rischio reale a cui sono esposte queste persone. “Rivolgersi al medico di base è l’unica via possibile, ma non basta”. “Non basta, perché – spiega Donato – non esistono al momento metodi di screening sufficientemente precisi da poter diagnosticare una neoplasia del polmone”. Individuare i pazienti a rischio, dunque, non è abbastanza. Una vera soluzione non esiste. E intanto a Civitavecchia si continua a morire.