BIOCIDIO TOUR: 9-10 novembre 2013

http://asud.net/wp-content/uploads/2013/10/TOXIC-TOUR-def-tutto.pdf

BiocidioTour in Lazio e Campania
Delegazione internazionale del progetto Ejolt
Due giorni di visita ai territori emblema di ingiustizia ambientale in Lazio e Campania
e di incontri con le comunità territoriali.
Programma e partecipanti
Il tour è aperto alla stampa.
Per partecipare scrivere a: [email protected]
Il Biocidio Tour è organizzato dall’Associazione A Sud e dal CDCA – Centro di Documentazione sui Confitti
Ambientali nell’ambito della settimana di attività del progetto di ricerca Ejolt, Environmental Justice
Organisations, Lialibities and Trade, fnanziato dalla Commissione Europea, con la partecipazione di 23 partner
di Europa, America Latina, Asia e Africa.
ww.asud.net www.cdca.it www.ejolt.org
| Giustizia ambientale in Italia |
Viaggio nei luoghi del Biocidio
Dal 9 al 15 novembre sarà in Italia la delegazione internazionale di accademici, ricercatori
indipendenti ed attivisti del progetto di ricerca sulla Giustizia Ambientale Ejolt –
Environmental Justice Organisations, Liabilities and Trade, per una settimana di lavori che
prevede lo svolgimento di workshop e panel tematici, di un evento pubblico serale e di una
conferenza internazionale.
La Associazione A Sud e il CDCA – Centro di Documentazione sui Confitti Ambientali
organizzano il 9 e 10 novembre, nell’ambito della settimana di attività, un tour di due
giorni che visiterà i territori emblema di ingiustizia ambientale in Lazio e Campania.
Di seguito tutti i dettagli sullo svolgimento del tour: date, orari, luoghi interessati, comitati
coinvolti, organizzazioni promotrici e tutte le informazioni utili a partecipare e a seguirne
lo svolgimento.
Ulteriori informazioni:
Scheda progetto EJOLT
Il CDCA
Settimana di attività a Roma
| Perchè un Biocidio Tour |
Scegliere di installare impianti produttivi, estrattivi o di smaltimento contaminanti su un
determinato territorio senza preventivamente valutarne le conseguenze su ambiente e
cittadini signifca decidere scientemente che quelle comunità sono “sacrifcabili” a una
malintesa idea di sviluppo.
Lo sfruttamento sregolato di risorse e territori operato a discapito dei diritti e oltre i limiti
di sopportazione degli ecosistemi distrugge l’ambiente, compromette la salute e rivela
l’inscindibile legame tra quest’ultima e la salubrità del territorio. La sistematica violazione
del diritto alla salute attraverso l’avvelenamento del territorio e l’esposizione della
popolazione a agenti inquinanti è stata chiamata in Campania “Biocidio”.
Lavorando da mesi sul territorio laziale ed in stretto contatto con alcune delle realtà
campane denunciando il legame tra mala gestione del territorio (con particolare
riferimento al ciclo dei rifuti) e le sempre piu’ frequenti e gravi violazione del diritto alla
salute delle comunità residenti il tour sarà occasione per dare visibilità ai percorsi sociali in
marcia sul tema. Un percorso che in Campania ha dato vita ad un’ampia coalizione sociale
attorno alla parola d’ordine StopBiocidio e che anche il Lazio sta emergendo dalle lotte
vecchie e nuove contro le devastazioni ambientali che il territorio vive.
Una mappa, quella del Biocidio, che tra Napoli e Caserta percorre centinaia di km di
territorio devastato da un modello di smaltimento dei rifuti tra discariche, inceneritori,
sversamenti illegali di rifuti tossici e industriali. Ma che non si ferma ai confni della
Campania (un tempo) Felix, oggi Terra dei Fuochi. Anche in Lazio i siti gravemente
contaminati per la presenza di stabilimenti industriali, centrali per la produzione di energia
o impianti per lo smaltimento di rifuti sono numerosi, come le comunità che ne subiscono le
conseguenze.
Unire i punti della mappa dell’ingiustizia ambientale in questa vasta zona d’Italia è il flo
conduttore dei due giorni di visita ai territori di Lazio e Campania organizzati
dall’associazione A Sud e dal Centro di Documentazione sui Confitti Ambientali come
attività del progetto di ricerca Ejolt, Environmental Justice Organisations, Lialibities and
Trade.
Sono obiettivi della due giorni di visita: documentare e denunciare la contaminazione
territoriale e il suo impatto sulle comunità residenti nelle zone interessate dal tour,
permettere alla stampa nazionale ed internazionale di conoscere di persona le conseguenze
ambientali, sociali, sanitarie ed economiche della mala gestione del territorio, dare voce alle
comunità colpite e creare occasione di visibilità per le lotte sociali e le richieste della
popolazione, promuovere informazione e coscienza diffusa sulle tematiche ambientali,
contribuire alla costruzione di reti di mutua comprensione e solidarietà tra territori colpiti
da problematiche simili.
| Il Biocidio in Italia|
In Italia come nel resto d’Europa la presenza dei siti contaminati è rilevante. Secondo
l’European Environment Agency in Italia sono localizzati migliaia di siti, di cui 57 sono
defniti di «interesse nazionale per le bonifche» (SIN) e inseriti nel «Programma nazionale di
bonifca», sulla base dell’entità della contaminazione ambientale, del rischio sanitario e
dell’allarme sociale (D.M. 471/1999). L’impatto sulla salute dei siti inquinati è oggetto di
indagini epidemiologiche di tipo geografco nelle aree a rischio. Avviato nel 2007, con
fnanziamento nell’ambito del Programma Strategico Ambiente e Salute del Ministero della
Salute, il Progetto SENTIERI (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli
Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento), con lo scopo di valutare l’evidenza
epidemiologica dell’associazione causale tra specifche cause di morte ed esposizioni
ambientali, ha pubblicato i dati nel 2010: 400.000 i decessi indagati, relativi ad una
popolazione complessiva di circa 5.500.000 abitanti.
A ciò si aggiunge il sistematico incidere di questa dinamica in contesti geografci
svantaggiati dal punto di vista sociale, politico ed economico: è la periferia, non più intesa
come concetto semplicemente geografco , ad essere metodicamente scelta come sede di
attività che distruggono ambiente producendo emergenza sanitaria oltre che aggravio delle
stesse condizioni economiche della popolazione. Ciò avviene ad esempio nelle aree in cui
l’economia agricola viene soppiantate da quella industriale o laddove si decida di insidiare
impianti che servano allo smaltimento dei rifuti urbani e industriali, dalle discariche agli
inceneritori, basando la scelta su una valutazione puramente speculativa e non sulle
tecniche in grado di fondare il ciclo dei rifuti su criteri di riduzione dell’impatto su salute e
ambiente.
| Biocidio tour in Lazio|
Sabato 9 novembre 2013 | ore 8.30-20.00
(Partenza da Metro Garbatella)
In Lazio, la presenza di zone con forti criticità ambientali legate a zone industriali, centrali
per la produzione di energia, smaltimento di rifuti etc. è tutt’altro che residuale.
Per fare solo un esempio, lo studio ERAS, il “Rapporto Epidemiologia Rifuti Ambiente
Salute nel Lazio” ha denunciato che nella popolazione residente entro i 5 km dalle
discariche per rifuti urbani, si registra un’anomala incidenza di malattie dell’apparato
respiratorio, tumori della pleura e mieloma multiplo, mentre, per gli inceneritori del Lazio,
si evidenzia un eccesso del 31% di ospedalizzazioni per malattie dell’apparato respiratorio e
del 79% per malattie polmonari cronico ostruttive.
Due delle zone maggiormente critiche dal punto di vista ambientale e sanitario della
regione si trovano non lontano da Roma e saranno visitate dalla delegazione
internazionale. Si tratta della Valle del Sacco e della Valle Galeria
| La Valle del Sacco |
La Valle del Sacco, regione del Lazio meridionale, situata in massima parte nella provincia
di Frosinone e, per un breve tratto, in quella di Roma, condensa un alto numero di fattori
inquinanti: industria bellica, chimica, un cementifcio, impianti di trattamento dei rifuti.
Nel corso di un secolo l’industrializzazione incontrollata ha compromesso il territorio
attraversato dal fume Sacco e la sua popolazione. Sin dal 1912, è presente un importante
polo industriale per la produzione di materiale bellico, oltre a un inceneritore, una discarica
e diversi altri impianti industriali contaminanti.
Per l’intensa attività industriale e soprattutto chimica, e la creazione di discariche a cielo
aperto, si è creato un sovraccarico di inquinanti che negli anni hanno contaminato terreni e
falde acquifere della Valle del Sacco. In particolare, il beta-esaclorocicloesano venne usato
abbondantemente fno agli Anni Settanta per la produzione di pesticidi, quindi limitato e
infne proibito nel 2001. Con le acque piovane che colavano nei terreni delle discariche a
cielo aperto e si convogliavano nei fossi detti Fosso Savo e Fosso Cupo si creò un
inquinamento costante nel fume Sacco, il quale, esondando periodicamente, nei decenni
successivi portò gli inquinanti sui terreni limitrof a destinazione agricola, generando
problemi in tutta la catena alimentare. L’apice si è avuto nel 2005, quando furono trovate
numerose mucche avvelenate dall’arsenico lungo il fume nei pressi di Anagni, ed a maggio
l’esondazione del fume portò sul mais, nel feno, sui terreni limitrof e nel latte dei bovini
un’elevata quantità di sostanze tossiche per l’uomo, vietate in Italia dal 2001, costringendo
all’abbattimento di bestiame, alla distruzione dei prodotti agricoli e alla chiusura di alcune
aziende. Nel 2006 è stato dichiarato lo “stato di emergenza socio-economico-ambientale”
per la Valle del Sacco, e in particolare per i comuni di Colleferro, Gavignano, Segni, Paliano,
Anagni, Sgurgola, Morolo, Supino e Ferentino, poi prorogato a più riprese fno ad oggi.
Colleferro
Nel 2008 la prima indagine epidemiologica su Colleferro – ne verrà fatta un’altra due anni
dopo con esiti stranamente più miti – evidenziò i gravi problemi per la salute portati da anni
di avvelenamento. Come scrive il rapporto della Asl Roma E: «L’area di Colleferro è stata
oggetto di un inquinamento ambientale da fonti molteplici e le modalità di contaminazione
umana sono state diverse. Il complesso industriale ha sicuramente causato un
inquinamento dell’aria da sostanze chimiche e prodotti della lavorazione fn dai primi tempi
della propria attività e i cui livelli e la cui estensione nel territorio sono oggi poco
documentabili». I lavoratori – prosegue il testo – «sono stati esposti a sostanze tossiche in
ambiente di lavoro, in particolare prodotti chimici ed amianto».
| La Valle Galeria |
Nell’area della Valle Galeria, situata a nord di Roma, si trova la discarica di Malagrotta, sito
di stoccaggio dei rifuti più grande d’Europa, chiusa alla fne del settembre scorso dopo 17
anni di proroghe.
Nella zona, che costituisce un quadrante di circa 400 ettari, si concentrano però anche
diversi altri impianti industriali ad elevato impatto ambientale. All’interno di esso, infatti,
si collocano, oltre alla discarica per Rifuti Solidi Urbani (RSU) di Malagrotta – 240 ettari di
estensione – l’adiacente discarica nella zona denominata “Testa di Cane” – 23 ettari di
estensione – per il conferimento dei materiali che saranno trasformati in Frazione Organica
Stabile (FOS) e delle ceneri prodotte dai termovalorizzatori di tutto il Lazio, e l’annesso
gassifcatore, tutti di gestione del Co.La.Ri. (Consorzio Laziale Rifuti) presieduto dall’avv.
Manlio Cerroni; una centrale elettrica della Terna s.p.a.; la raffneria di Roma (Raffneria di
Roma S.p.A.) di proprietà della Total Erg; tre depositi di gas liquefatti dell’Eni, della
Lampogas s.r.l. e della Sudgas S.p.A; due depositi di olii minerali del Deposito del Comune
(De.Co.) e della Praoil Oleodotti Italiani S.p.A.Poco più a sud, si trovano un bitumifcio, un
cementifcio, un depuratore idrico e l’inceneritore di rifuti ospedalieri di Ponte Malnome,
l’unico in tutto il Lazio. All’interno di questo quadrante, inoltre, sono in funzione, nella zona
più ad est, numerose cave di sabbia, segno che il territorio è interessato anche da un
notevole rischio idrogeologico; non a caso, lo stesso sito utilizzato per la discarica era
originariamente una cava. Quest’area industriale, infne, è attraversata da una fume, il Rio
Galeria, che sfocia nel Tevere a ovest della città e risulta altamente contaminato a causa
della presenza degli impianti circostanti.
Malagrotta
Situata in Valle Galeria, Malagrotta è una frazione di Roma Capitale, nel territorio del
Municipio Roma XVI, zona urbanistica Pantano di Grano. È situata lungo la Via Aurelia, tra
Fiumicino, Ponte Galeria e Piana del Sole, e in prossimità della nuova Fiera di Roma. Per
decenni ha ospitato quella che oggi è considerata la più grande discarica d’Europa, attiva
già a partire dal 1977 prima dell’uffcializzazione arrivata nel 1984, la discarica di
Malagrotta ha una capienza superiore a 60 milioni di tonnellate. L’attuale sito era
inizialmente una cava, che si è riempita fno a diventare il cosiddetto “ottavo colle di Roma”.
Il sito ha un’estensione superiore ai 240 ettari e riceveva ogni giorno tra le 4500 e le 5000
tonnellate di rifuti, producendo circa 330 tonnellate di scarti e fanghi all’anno. La zona di
Malagrotta, che è soltanto una parte della Valle Galeria, comprende i quartieri di
Massimina, Santa Cecilia, Spallette e San Cosimato, e rappresenta probabilmente l’area di
Roma in cui si concentra il maggior numero di impianti industriali ad alto impatto
ambientale, oltre ad essere una delle zone più a rischio di tutto il Paese. Prendendo come
riferimento geografco il sito della discarica di Malagrotta, a circa 1 kilometro a nord in
linea d’aria, inizia la zona urbanistica di Casal Lumbroso, dove vivono, secondo l’anagrafe,
8.093 cittadini. A sud, invece, a meno di 400 metri si trova la frazione di Fontignani. La
distanza della discarica dalle case è estremamente ridotta, con ripercussioni molto gravi
sulla vita quotidiana degli abitanti.
| I Comitati |
La delegazione incontrerà lungo la giornata i comitati:
– Comitato Malagrotta
– Forum Rifuti Zero Lazio
– Coordinamento Valle del Sacco
– Comitato No Discarica Divino Amore
Nel tardo pomeriggio la delegazione incontrerà in Piazza Don Bosco a Roma i comitati locali
del Lazio che si stanno occupando della gestione dei rifuti.
| Biocidio tour in Campania|
Domenica 10 novembre 2013 | ore 7.30-20.00
(Partenza da Metro Garbatella)
La Campania è una delle regioni italiane che non solo paga uno dei dazi più alti ad un
modello di sviluppo sempre più omicida, ma, proprio per questo, assurge a simbolo delle
comunità in lotta in difesa dei propri territori e della salute.
Dopo l’emergenza iniziata nel 2008 le comunità locali sono raccolte in un’ampia coalizione
sociale che ha scelto lo slogan “Stop Biocidio” per denunciare il forte impatto della
devastazione territoriale sulla salute e la vita della popolazione, chiedendo bonifche e
tutela della salute. La mobilitazione sociale attorno a questo tema ha nuovamente
raggiunto, negli ultimi mesi, livelli molto alti.
Nel già citato Studio SENTIERI, l’elenco dei Comuni campani è lunghissimo: oltre a
Giugliano, nell’aria di Caserta e Napoli, litorale domizio fegreo e agro aversano, fgurano,
tra i più di 50 comuni nominati, Acerra, Aversa, Caivano, Casal di Principe, Casapesenna,
Caserta, Maddaloni, Marcianise, Mariglianella, Marigliano, Melito di Napoli, Mondragone,
Monte di Procida, Orta di Atella, Pozzuoli, San Tammaro, Santa Maria Capua Vetere, Santa
Maria la Fossa. Non diversa la situazione lungo il litorale vesuviano, nei comuni di
Boscoreale, Boscotrecase, Castellammare di Stabia, Ercolano, Napoli, Pompei, Portici, San
Giorgio a Cremano, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco e Trecase.
L’emergenza sanitaria in questi territori è determinata da un lato da un sistema di
smaltimento dei rifuti urbani prodotti in massima parte dalla città di Napoli secondo la
logica del conferimento in discarica e dell’incenerimento e, dall’altro, dallo smaltimento
criminale di rifuti speciali attraverso roghi e interramento. In molti casi, negli stessi siti
sono fniti rifuti industriali illecitamente smaltiti e i rifuti urbani smaltiti nel susseguirsi
delle gestioni commissariali della decennale emergenza rifuti.
Il toxic tour farà tappa in alcuni dei siti che più rappresentano l’emergenza sanitaria e
ambientale della Regione.
| La terra dei fuochi |
Terra dei fuochi è la ormai nota locuzione con cui viene indicato il territorio comprendente i
Comuni di Qualiano, Giugliano, Orta di Atella, Caivano, Acerra, Nola, Marcianise, Succivo,
Frattaminore, Frattamaggiore, Mondragone, Castelvolturno e Melito di Napoli, interessato
dai roghi tossici con cui la Camorra smaltisce illegalmente rifuti industriali, quando non
attraverso l’interramento nei campi. Dal 2010 si sono registrati sversamenti di rifuti
industriali e nucleari provenienti dal nord Italia e dal nord Europa tanto che è ormai
innegabile che l’incremento dell’incidenza di tumori in questa zona sia legata a questi
fenomeni. Secondo un rapporto dell’ARPA Campania del 2011, un’area di 3.000.000 di
metri quadrati compresa tra i Regi Lagni, Lo Uttaro, Masseria del Pozzo-Schiavi (nel
Giuglianese) ed il quartiere di Pianura della città di Napoli, risulterebbe interessata da una
massiccia presenza di rifuti tossici.
Il c.d. «Patto per la Terra dei Fuochi», siglato lo scorso 11 luglio tra il Presidente della
Regione Campania, i presidenti delle province di Napoli e Caserta, i sindaci dei comuni
interessati dal fenomeno dei roghi (compresi i due capoluoghi), un delegato del Ministro
dell’Interno, le Asl e alcune associazioni attive sul territorio come l’Isde-Medici per
l’Ambiente, ha prodotto pochi risultati e i roghi continuano indisturbati.
Giugliano
Giugliano è la terza città della Campania: il pm Alessandro Milita nell’ambito delle indagini
sulla discarica Resit ebbe a dire, in Commissione parlamentare sul ciclo dei rifuti, che
l’inquinamento di questa zona può essere paragonato all’Aids, essendo destinato a crescere
sia negli effetti che nella dispersione delle sostanze dai siti contaminati a quelli limitrof.
Dagli anni ‘80 alla metà degli anni ’90 il boss Bidognetti, tramite la società Ecologia 89, ha
illegalmente smaltito nel giuglianese 800.000 tonnellate di rifuti, provenienti da aziende
del Nord, come l’Acna di Cengio; sono le 57.000 tonnellate di percolato derivatene a
minacciare le falde acquifere. Secondo la perizia del geologo Giovanni Balestri, incaricato
dalla Dda (Direzione distrettuale antimafa) di Napoli, entro il 2064, penetrando attraverso
il tufo, i veleni contamineranno la falda acquifera sottostante.
Al disastro delle mafe, si è aggiunto e mischiato, quello delle gestioni commissariali. Triste
fotografa di questo territorio sacrifcato, il Sisp (Sito di stoccaggio provvisorio), in
contrada Taverna del Re, un impianto di deposito di combustibile da rifuti (CDR), un’area
di circa 130 ettari, il più grande sito di stoccaggio «provvisorio» di rifuti imballati presenti
in Campania; qui sono state accumulate e continuano a giacere da anni sei milioni di
tonnellate di ecoballe mai state bruciate perché non a norma.
Il 5 aprile scorso il prefetto di Napoli, Francesco Antonio Musolino, ha ottenuto lo
scioglimento del Comune di Giugliano per infltrazione camorristica, denunciando il
gravissimo danno ambientale e l’avvelenamento del territorio con conseguente
compromissione della salute e delle condizioni di vita dei cittadini, nonché il mancato
rispetto delle ordinanze di chiusura dei pozzi inquinati dalla Resit. Cosa tutto ciò possa
signifcare in termini di sicurezza alimentare e danno per la salute nel secondo mercato
ortofrutticolo d’Italia dopo quello di Milano con una produzione agricola per ettaro
superiore a qualsiasi altra parte d’Italia è facile immaginarlo.
Terzigno, Cava Sari e Cava Vitiello
Nel 2010, nonostante le trionfalistiche dichiarazioni del Governo e del commissario
Bertolaso, l’emergenza rifuti campana sembrava ben lontana dall’essere stata risolta; a
Terzigno, si decideva anzi di aggiungere alle già esistenti discariche, le cave Sari 1, attiva
dagli anni ‘90 e Sari 2, inaugurata nel 2008, in località Pozzelle, l’adiacente Cava Vitiello,
3.600.000 metri cubi, in pieno Parco nazionale del Vesuvio, il buco più grande d’Europa,
contro la volontà dei cittadini e della Provincia di Napoli espressasi negativamente il 24
maggio 2010. Sulla base della legge speciale n. 90 del 2008 i due siti, Cava Sari e Cava
Vitiello, erano stati dichiarati zona di interesse strategico nazionale attribuendo poteri
straordinari alla protezione civile per la gestione dell’emergenza e abrogando tutte le
norme ordinarie per l’autorizzazione di questi siti. L’apertura della nuova discarica venne
bloccata grazie alla resistenza e alla mobilitazione della popolazione locale che non
mancarono di assumere forme radicali. Un rapporto dell’Arpa Campania del 2012, «Piano di
monitoraggio e controllo e stato delle acque sotterranee discarica Sari», testimonia
l’inquinamento delle falde acquifere e la contaminazione di centinaia di pozzi ormai
inutilizzabili per l’agricoltura. Il rapporto dei tecnici Arpa non mette in relazione diretta
l’inquinamento delle acque con il pluriennale utilizzo dell’area Sari a sversatoio del rifuto
indifferenziato di mezza provincia di Napoli, ma gli abitanti della zona continuano a
denunciare l’incremento di tumori che hanno provveduto a contabilizzare in un artigianale
«registro tumori», compilato per sollecitare interventi di bonifca e di messa in sicurezza del
territorio.
| I Comitati |
La delegazione incontrerà lungo la giornata i comitati:
– Coordinamento Comitati Fuochi
– Rete Commons
– No Inc Giugliano
– Fenice Vulcanica
| La delegazione internazionale|
Joan Martinez Alier, Università Autonoma di Barcellona, Spagna. Coordinatore del
Progetto Ejolt, membro fondatore e ex-presidente dell’ISEE (International Society of
Ecological Economics), membro del comitato scientifco dell’Agenzia Europea per
l’Ambiente, professore di Economia Ecologica. Joan ha basato il suo lavoro sulla
collaborazione con le comunità e le organizzazioni locali portando avanti ricerche
innovative sulla valutazione e distrbuzione ecologica, sulla giustizia ambientale e sulla
conservazione della biodiversità.
Antonio Gustavo Gomez, Procuratore della Corte di Tucuman, Argentina. Gustavo è
membro della rete dei procuratori latino-americani contro i crimini ambientali. Oltre a
sostenere campagne internazionali per la promozione di tribunali internazionali contro i
crimini ambientali, ha più di 20 anni di esperienza nella tutela legale delle comunità e nell’
investigazione e persecuzione penale di crimini ambientali.
Marcelo Firpo, Fondazione Fiocruz, Brasile. Ingenere e Dottore in Medicina sociale,
Marcelo è un ricercatore senior del Centro Studi di Ecologia Umana e Salute dei lavoratori
della Fondazione Fiocruz. Lavora sulle correlazioni tra ambiente e salute e sull’analisi
integrata del rischio.
Godwin Uyi Ojo – Co-fondatore e Direttore di ERA – Environmental Rights Action, Nigeria.
Dottore in Sviluppo e Ambiente, negli ultimi 20 anni Godwin si è impegnato nello sviluppo
di centri comunitari per sostenere le comunità impattate dalla contaminazione petrolifera
nel Delta del Niger dove opera, fra le altre, ENI.
Ivonne Yanez, Accion Ecologica, Ecuador. Attivista dell’organizzazione Ecuadoriana
Accion Ecologica e co-fondatrice della rete internazionale Oilwatch, Ivonne è impegnata
nella promozione della giustizia ambientale e sociale in Ecuador ed è fra i promotori di
azioni come la proposta Yasunì e il processo contro l’ecuadoriana British Petroleum per il
disastro nel golfo del Messico.
Adolfo Maldonado, Accion Ecologica, Ecuador. Medico e attivista, Adolfo è fondatore della
Clinica Ambientale nell’Amazzonia Ecuadoriana, un progetto di riparazione socioambientale
e di accompagnamento delle comunità colpite da devastazioni ambientali e
gravi effetti sulla salute. Attraverso la tutela salute della comunità sviluppa un processo di
ricucitura del tessuto sociale.
Christos Zografos, ICTA/Università Autonoma di Barcellona, Spagna. Ricercatore dell’
ICTA, studia i confitti ambientali, processi decisionali sostenibili e modelli di transizione
verso la decrescita attraverso relazioni tra potere e politica, pluralità dei valori e
democrazia deliberativa.
Daniela Del Bene, ICTA/Università Autonoma di Barcellona, Spagna. Attivista del Forum
Italiano dei Movimenti per l’Acqua e ricercatrice sui confitti ambientali e i diritti legati
all’acqua. Daniela collabora allo sviluppo della mappa di ingiustizia ambientale nel mondo
del progetto EJOLT.
Serah Munguti Mumbua, East Africa Natural History Society/Nature Kenya, Kenya. Serah
è Responsabile Comunicazione e Campagne dell’organizzazione Nature Kenya, attiva nella
protezione dell’ambiente e nell’accompagnamento delle comunità.
Bertchen Kohrs, Earthlife Namibia, Namibia. Presidente dell’associazione Namibiana
“Earthlife Namibia” è impegnata nell lotta contro le attività minerarie di estrazione di
Uranio nel parco Namib-Naukluft. Porta avanti un lavoro di educazione alla cittadinanza e
di accompagnamento dei lavoratori ammalati.
Martin Oulu, Università di Lund, Svezia. Martin è un ricercatore nel campo dei
cambiamenti ambientali e climatici. Studia la relazione tra lo sviluppo e la degradazione
nonchè nuovi modelli di sviluppo sostenibile nei paesi a sud del mondo e in Kenya, il suo
paese di origine.
Rikard Warlenius, Università di Lund, Svezia. Rikard è uno storico dell’economica. Studia
casi storici e contemporanei di scambi ecologici diseguali. È anche giornalista e ha publicato
diversi libri sui movimenti sindacali e i cambiamenti climatici.
Irene Pietropaoli, Business & Human Rights Resource Centre, UK. Irene insegna diritto
internazionale dei diritti umani a Regent University. Le sue principali aree di lavoro e
ricerca sono: responsabilitá d’imprese, giustizia di transizione, imprese miliari e di
sicurezza.
Leah Temper, ICTA/Università Autonoma di Barcellona, Spagna. Ricercatrice e membro
dell’ICTA, Leah è co-coordinatrice del progetto Ejolt. E’ anche videomaker e ha realizzato
diversi documentari indipendenti.
Swapan Kumar Patra, Centre for Studies in Science Policy, Università Jawaharlal Nehru,
New Delhi, India. Le sue ricerche si concentrano su globalizzazione e imprese
multinazionali, con particolare attenzione alle questioni ambientali e le politiche di sviluppo
nei paesi emergenti.
Carlo Romagnoli, Medico epidemiologo, ISDE – Medici per l’Ambiente, Umbria. Da tempo
impegnato nell’accompagnamento e nella formazione delle comunità vittima di criticità
ambientali.
| Info, contatti|
Per la stampa: il tour è aperto alla stampa ma numero di posti è limitato
Per inviare una richiesta di partecipazione scrivere a: [email protected]

http://asud.net/wp-content/uploads/2013/10/EJOLT_descrizione_progetto.pdf

IL PROGETTO EJOLT
EJOLT – Environmental Justice Organisations, Liabilities and Trade – è un progetto di messa in
rete di attori internazionali – scienziati, attivisti, policy makers, think-tanks – per la condivisione di
saperi e azioni sulla giustizia ambientale.
Da marzo 2011 a febbraio 2015, l’impegno delle rete EJOLT si impegna ad investigare le radici
dell’aumento dei conflitti ambientali di distribuzione a vari livelli e si interrogherà su come
trasformare tali conflitti in processi verso la sostenibilità ambientale.
Finanziato dal 7° Programma Quadro della DG Ricerca, Commissione Europea, EJOLT ha riunito
un consorzio internazionale intorno ad una serie di discipline – giurisprudenza ambientale, salute
ambientale, ecologia politica, economia ecologica – ed in particolare alla questione della
distribuzione ecologica e a due concetti centrali che sono il debito ecologico (o responsabilità
ambientale) e gli scambi ecologici diseguali.
Con il valore aggiunto dello scambio e la condivisione di saperi teorico-pratici, il tema della
giustizia ambientale è esaminato dal punto di vista scientifico, dell’attivismo, passando dalla
formulazione delle politiche e di strategie legali. L’intento è quello di ragionare sulla protezione
tanto dell’ambiente quanto delle EJOs (Environmental Justice Organizations), organizzazioni della
società civile impegnate localmente o globalmente in conflitti legati all’estrazione di risorse o allo
smaltimento di rifiuti. Tali conflitti si moltiplicano di maniera esponenziale rispondendo alla crescita
dei bisogni dell’economia mondiale in termini di materiali e energie.
Attraverso il metodo partecipativo, la “ricerca-azione” e altre metodologie, i membri della rete
EJOLT si interessano del legame tra i bisogni in sicurezza ambientale e la difesa dei diritti umani
fondamentali, delle comunità e dei movimenti cittadini, che verranno rafforzate permettendo il
monitoraggio dello stato ambientale e la documentazione del degrado.
Il progetto include lo sviluppo di casi studi attraverso una ricerca collaborativa tra i partecipanti che
incrementerà la loro capacità di contrastare il debito ecologico e i passivi ambientali. Basandosi
sulle conoscenze delle EJOs sui rischi ambientali e i meccanismi legali e sul trasferimento dei
risultati delle ricerche nella sfera politica, EJOLT arricchirà le scienze della sostenibilità attraverso
l’accumulazione di conoscenze delle EJOs e porterà ad una migliore applicazione di queste
scienze nella società.
Divisosi in gruppi di lavoro, il team di EJOLT ha selezionato alcune specifiche tematiche di lavoro,
quali: